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L'Azienda

Vèngore, spettacolo della biodiversità

Per capire dove ci troviamo fate un esperimento. Chiudete gli occhi tenendo a mente le classiche colline vitate e, poco dopo, riapriteli a Vèngore.

Ora siete al centro di una valle che si schiude ad anfiteatro, circondata da ripide dorsali sulla cui sommità dominano i boschi. I filari corrono perpendicolari ai pendii e sul fondovalle si snoda una strada poderale che porta all’omonima cascina, costruita nel centro esatto della valletta. Il vento accarezza l’erba dei prati e campi carichi di spighe sollevano una leggera pula. Se prestate l’orecchio, a Vèngore si sente il lieve scrosciare dell’acqua: è la fonte perenne del Cucheiriolo, che da tempo immemore disseta le altrimenti aride colline circostanti. Non è il solo suono che riempie la valle. Sulle sponde della fonte e vicino a un laghetto, gracidano le rane e, tra una vigna e l’altra, si ode il raglio di un asino che pascola libero, manducando qualche erbetta tra l’interfila, o il raspare di qualche gallina che cammina spensierata nella tenuta.

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Un millenario paradiso agricolo

Vèngore fu un antichissimo paradiso agricolo sulla strada principale che collegava Cisterna con San Damiano d’Asti, un fundus celebre ai tempi dei romani per il clima mite e le terre fertili, già allora coltivato a vite, cereali e bosco, da cui si ricavavano i pali dei filari. Di questa epoca antichissima rimangono tracce nel nome, Vengoris, una varietà di salice detta venghé, che un tempo ricopriva molta della superficie. Soprattutto, dagli incredibili ritrovamenti archeologici: monete cocci, anelli e tre lapidi marmoree utilizzate come gradini dell’odierna cascina, risalenti a duemila anni orsono.

Il vero spettacolo di Vèngore accade però in primavera. Disciolte le ultime nevi, i vigneti si tingono di sorprendenti colori, tanto da somigliare ad un giardino: il giallo canarino della senape si confonde con quello del tarassaco; l’azzurro del lupino sfida il rosso cardinale del papavero e, timido, si affaccia il bianco fiore di pisello. Sono le erbe spontanee e le leguminose che lasciamo crescere tre le uve e che, a fine stagione, trinciamo e interriamo per il sovescio così da mantenere i suoli fertili e vitali. Anche il cielo di Vèngore brulica di vita. Protetto dalle spalle delle colline e ricco di alberi ad alto fusto, è il rifugio di una grande varietà di volatili autoctoni e uccelli migratori.

Vèngore wild life

Pettirossi, falchi pecchiaiolo, nibbi bruni, colombelle, poiane, germani, gallinelle. E ancora corvi, fringuelli, picchi rossi, gruccioni. Ma anche lepri, cerbiatti, volpi, tassi e cinghiali.

Vèngore è una riserva faunistica per moltissime specie selvatiche, che vivono negli oltre 60 mila metri quadri di boschi limitrofi che curiamo attraverso una silvicoltura conservativa. Ai boschi spontanei presto si aggiungeranno altri 300 alberi ad alto fusto piantati dove il terreno è più siccitoso: querce, roverelle, tigli e carpini bianchi andranno a costituire un nuovo santuario verde per la valletta. Le loro radici, lentamente, getteranno le basi per il futuro sviluppo di una grande tartufaia dalla quale, spontaneamente, raccoglieremo Tartufi Neri Pregiati e Tuber Magnatum Pico, il celebre e preziosissimo Tartufo Bianco d’Alba.

LUCREZIA POVERO

Vèngore è il mio impegno a un’agricoltura diversa, capace di superare il concetto di «salvaguardia dell’ambiente» per abbracciare quello di «rigenerazione vitale».

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